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I racconti di p. Jack

Capitolo II: “Meschita”

Quando si sale via Maqueda dalla Stazione Ferroviaria, le laterali son dritte, con incroci regolari: vuol dire che son “moderne”. Qualche passo ancora e diventano vicoli con bei nomi: ponticello, viola, calderai, meschita, giardinaccio. C’è perfino la chiesa disassata di S. Nicola da Tolentino. Siamo nella Giudecca (Harat al Yahud). Siamo in un altro mondo anche con la toponomastica: l’arabo, l’ebraico e l’italiano.

La chiesa è stata costruita sui luoghi del complesso sinagogale. A testimone c’è l’archivio comunale, un po’ discreto e molto simbolico, costruito sui ruderi del luogo di culto con delicatezze architettoniche che ricordano un dramma ormai cancellato e c’è la Meschita, piccola chiesa sconsacrata che non fu mai una moschea ma la “sinagoga nascosta”. Qui si parlava arabo, anche gli ebrei!

I vicoli seguono l’antica orografia, anche perché, come si diceva una volta, sulla via dritta passa il diavolo.

Tutto questo è sparito o, a dire il vero, ne è rimasto un ultimo resto: la vera del pozzo che abbellisce oggi il cortile della Magione, arrivato lì non si sa come né quando.

Sotto un cortile di Casa Professa si suppone che ci sia la Mikva ma “disputant auctores”.

Nel 1492 non fu scoperta solo l’America ma gli ebrei furono cacciati da tutti i territori del Regno. Era il tempo dell’Inquisizione e consigliere di Isabella di Castiglia era il Torquemada, il grande Inquisitore. Chi non si “convertiva” doveva andarsene con le poche cose che poteva portarsi addosso e pochi soldi. Peccato che con essi partiva l’intraprendenza e il genio commerciale che andò a far ricchi altri “infedeli”, ben felici di un simile materiale umano nel loro paese di pastori, contadini e guerrieri. A Tessalonica (oggi Salonicco, Grecia) all’inizio del secolo scorso si parlava spagnolo in città: se lo portarono con loro gli ebrei. E la loro cacciata creò grandi danni a tutti i livelli in Sicilia.

Qui ci sono passati tutti, era troppo bella, dai sicani agli americani; ne ho contate 21 di “conquiste”, ma gli ebrei non sono tra loro, ci hanno abitato da sempre: semplicemente c’erano.

A partire dal IX secolo, con l’arrivo degli gli arabi, la Sicilia entrò nell’ambito non-italiano e gli ebrei si integrarono bene con le loro comunità del maghreb; così divennero mediatori tra gli isolani cristiani e i conquistatori musulmani. Cominciarono 5 secoli positivi per loro. La comunità crebbe e venne su il quartiere di Palermo, fuori le mura.

Avevano restrizioni: armi, luoghi di culto, cariche militari, cavalli, una cintura gialla e un turbante speciale, pagare la “gizìa” per il culto e la “karag” sul reddito, come tutti i non-musulmani nel mondo arabo.

Coi Normanni andò anche meglio. A Palermo era la più grande comunità (8000) d’Italia. Commercio e artigianato prosperarono con pesca, seta, tintorie, e furono equiparati con pieni diritti civili. Rimase solo la tassa del culto. Ci fu un breve tempo persecutorio, sotto Federico II; non per ideologia, bensì per problemi di buone relazioni con la Chiesa. Fu il tempo più fiorente di tutta la loro storia in Sicilia.

Problemi cominciarono con gli aragonesi. Sotto Federico III subirono l’imposizione di un sigillo di panno rosso ben in vista, anche sulle rivendite della carne, sotto controllo di un Magistrato apposito, e la proibizione di curare i cristiani dai loro medici (subito disattesa, perché erano i migliori).

Nel 1339, esaltati dai predicatori del Venerdì Santo gli ebrei subirono atti di violenza dalla popolazione, mente gli aragonesi aumentavano per loro le tasse e i “donativi”. Nel XV secolo ci fu il degrado, il paese ritornò ad un’economia agricola e i commerci languirono per gli ebrei. Cominciarono a partire. Quando furono espulsi erano 5000; 800 di loro poverissimi. A questo si deve aggiungere la predicazione di francescani, domenicani e l’azione della santa inquisizione. Era meglio partire!

Era il 1492, o giù di lì.

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