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I racconti di p. Jack

Capitolo VII
” L’Eletta o la Kalsa”

Se le sostruzioni arabe a Palermo sono quasi completamente scomparse, le parole però rimangono e son  pesanti: Ballarò, Kalsa (detta Avusa e i suoi abitanti, gli avusitani), Cassaro, Seralcadiu, Galka (“recinto”, il quadrilatero normanno con il Palazzo Reale). E chi penserebbe mai che Lattarini era il mercato dei profumi…

Al-Halisah corrisponde grosso modo al quarto concluso da via Roma, Cassaro e mare. Tenendo presente che il mare ha continuato a cedere terra al quartiere. Fino al XVI s. il quartiere era ben più piccolo.

Palermo tra i fiumi Papireto e Kemonia – Archivio Comune di Palermo

La Kalsa era il quartiere fortificato: emiro, soldati, uffici, arsenale, prigioni e occupava un quarto dell’attuale Kalsa con la sua cinta. Dopo gli splendori arabo-normanni, con l’arrivo degli aragonesi il quartiere e la città declinano in tutto, questa non è più un centro ma periferia. Con l’Unità la situazione non fu più facile e i nuovi progetti urbanistici votarono alla morte il vecchio pittoresco organismo urbano, in fine nasce la via Roma, dritta! Last but not least, c’è passata  pure una guerra che con i bombardamenti seguiti da incuria, abbandono, vandalismi e saccheggi di chiese e palazzi ha sfigurato completamente il Centro. L’apice è nel ’69, quando fu trafugato il Caravaggio nell’Oratorio di San Lorenzo.

Una delle cose più belle è il ficus magnolioide di Piazza Marina (me ne ricorda uno in giardino nel Sahara dove abitavo: il mio aveva un boa come guardiano), “la casa dei folletti”. Ma girato l’angolo si vede la guerra: macerie, degrado! I vicoli sarebbero belli ed è bello perderci senza meta.

Le strade hanno nomi con un senso e una storia: alloro, rosa, pappagallo, delle teste, della neve, zagarellai, scopari. In via Alloro, nel museo Abatellis ci sono due opere che danno senso a un viaggio: il Trionfo della Morte e l’Annunciata, il primo è preparato dal percorso per arrivarci, con la fine delle cose materiali, il loro degrado, il secondo è spirito, fiducia, grazia e luminosità. Non mi sembravano neanche tanto contenti di aiutarmi a trovare l’Oratorio di S. Lorenzo, gli avusitani sembravano un po’ infastiditi dalla mia intrusione, tant’è che la prima visita l’ho mancata.

Scalone di accesso Oratorio dei Bianchi
Lo sguardo dell’Annunciata
Antonello da Messina

È vero che a vedere alcuni scorci del quartiere si sente aleggiare il senso della morte, di abbandono, di sporcizia. Non è neppure confortante sapere dell’Oratorio dei Bianchi (1541), Compagni che avevano il compito di assistere i condannati a morte negli ultimi tre giorni di vita, o dello lo Spasimo che fa esplodere il cuore per l’immenso che incornicia, ma ci fa ricordare il latrocinio del Raffaello.

Ma andiamo alla fine e parliamo dei francescani, che arrivarono qui con Francesco ancora in vita. Le loro innovazioni non furono per niente accolte dal clero, perché minacciavano i loro privilegi con la loro predicazione e la loro povertà e dovettero fuggire dopo l’assalto al convento. Ritornarono una seconda volta sotto la protezione papale ma finì di nuovo male, solo la terza volta riuscirono a rimanere!

Oratorio di San Lorenzo
Via Immacolatella, Palermo

A loro, o meglio alla Compagnia di  S. Francesco, dobbiamo un’opera proprio bella: l’Oratorio di S. Lorenzo (di Oratori da vedere ce ne sarebbero almeno 26). Questi Compagni avevano l’ufficio di seppellire i morti della Kalsa (a quel tempo non c’erano cimiteri a Palermo, tutti sotto le chiese o nelle catacombe). Verso  il 1700-06 , essi la commissionarono a Giacomo Serpotta, che era della Kalsa ed egli compie qui il suo capolavoro di stuccatore, decorandolo.

Dice G. Bellafiore a p. 72 “ Le figure, i putti e i cartocci si insinuano tra gli spartimenti architettonici delle finestre creando una continuità decorativa ed ininterrotto flusso di narrazione. Le scene più tragiche hanno come cornice il sorriso e la gioia dei bimbi che, capriolando tessono un inno alla vita, ignari della mortificazione della carne che la religione ufficiale imponeva… Nei visi femminili è grazia e civetteria ma mai leziosità, senza scadere nei difetti del tempo.”

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