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I racconti di p. Jack

Capitolo V: “Emergenza”

Crediamo d’essere immortali, ormai andiamo su Marte, facciamo turismo spaziale, i cento anni sono alla portata di molti, ma un maledettissimo vermetto ci tiene alla corda, si chiama emergenza, da dove viene non si sa o non si può dire, chissà!

A noi non piace per niente, né la parola né lei. In emergenza bisogna fare presto, bisogna saltare i progetti e i programmi, lavorare di più, stare scomodi, non viaggiare, poche relazioni, non possiamo divertirci. Sì, perché noi non siamo un popolo di emergenza, preferiamo esorcizzarla, infatti noi nella normalità già viviamo in situazioni ingovernabili. Ogni anno ci sono gli incendi, le alluvioni, la neve, i terremoti… abbiamo mai visto progetti realizzati a questo riguardo? …mo’ vediamo, dopo, con calma, facciamo una commissione, vedremo, domani… Ho sentito dire che a Messina ci sono ancora problemi dello tsunami del novecentodieci.

In quasi tutti i paesi dove ho vissuto, a tempo debito si fanno le esercitazioni, tutti: scuole, ospedali, esercito, fabbriche, campagne. In Albania avevano costruito cinquecentomila bunker di tutti i tipi per proteggersi da noi invasori. In Nord Europa ho visto depositi, città, fabbriche, rifugi per emergenza. Alcuni governi sovvenzionano chi si vuol costruire un rifugio atomico in casa! …e lo vanno a controllare i vigili.

Mentre noi viaggiavamo disperati a cercar mascherine, altri hanno semplicemente aperto i depositi strategici.

Noi abbiamo città intere fuori controllo, pensate Foggia di questi giorni, conosco strade che ci sono sulla carta e sono in realtà inglobate. È quotidiano il dramma delle ambulanze bloccate non dal traffico… ma da persone che se le sono privatizzate…

Ma in realtà io volevo parlar d’altro, l’argomento mio è sotterraneo, meglio notturno! I primi a soffrire sono i poveri, gli anelli deboli delle nostre ricche società. Noi nelle nostre difficoltà ci chiudiamo subito, accaparriamo. Ma nei centri di accoglienza succede altro. Eravamo abituati e leggere la situazione di un paese da alcuni segni: aumento di richiesta di cibo di prima necessità, domanda di vestiti usati e di medicine generiche… e crollo del prezzo delle ragazze in vendita sul mercato del piacere. Era come una forbice che si apriva.

Ma che c’entra tutto ciò? C’entra che bisogna far presto, confesso che mi è piaciuto Draghi che ha detto più o meno così: “Adesso è il tempo non di chiedere ma di dare”.

Concluderei con una storiella che mi occupò tanto tempo fa. Premetto che non sono un economista o uno stratega.

Quando ero in missione, si dice così, avevamo davvero tanti aiuti dall’Italia, qualcuno diceva di rifiutarli, erano troppi. Dovevamo fidarci della Provvidenza. Io mi feci mandare dei container (5) e ci stoccai l’enorme surplus, tenendo tutto nascosto per timore di assalti. Qualche mese dopo, venne una alluvione al Nord e migliaia di persone avevano perso tutto. Un ragazzo del posto mi disse: “È ora” guardando i depositi. Il giorno dopo i camion era già sul posto a distribuire materiale …andò tutto per il meglio. Un mese dopo il governo, piccato, volle fare lo stesso. La popolazione si ribellò e rifiutò il materiale inviato dal governo tardivo e di bassa qualità. Cosa era successo? Ci avevano pensato i tecnici del ministero.

Ergo fare presto e bene.