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I racconti di p. Jack

Capitolo XXII – Casaprofessa

Il nome

Come spesso succede a Palermo i fedeli e i cittadini si sono presi il diritto di renderla loro la città e l’hanno personalizzata spesso, come le Vergogne o il Cassaro. “Casaprofessa” è quella dove, da circa 400 anni, abitano i “Padri Professi”, quelli che hanno finito la formazione propria dei Gesuiti e sono pronti per la missione in Sicilia e nel mondo.

Quasi per una “damnatio memoriae”, le case dei gesuiti hanno preso altri nomi: l’ultima è proprio la biblioteca affianco, che ora è “intitolata” a Sciascia, mentre prima era la portineria della casa. Tutto attorno è segnato dalla “sua” presenza, è un punto fondamentale di orientamento, per turisti, paesani e per tanti, per incontrarsi, è il nartece1 per Ballarò… ci si arriva per via di Casa Professa.

Per i turisti

Piazza Casa Professa

La sua vista risulta, a prima occhiata, deprimente: in piazza si passa a  fatica tra macchine parcheggiate, cassonetti mai igienizzati (questi sono sempre ridondanti, quasi cornucopie), escrementi… Sembra “pittoresca”, con la fioritura di segnali, che quasi tutti indicano un divieto e rimozione continua (sembra che alcuni abbiano anche gettato dei polloni), mai rispettati e fanno pensare alle “grida” che il governatore di Milano inutilmente affiggeva durante la peste descritta da Manzoni.

Il bel giardino della biblioteca comunale desolatamente chiuso, con a guardia, 24 su 24, l’homeless-posteggiatore, che all’ombra dell’immenso ficus, a cui tagliano con tenacia le radici aeree, fa guardia giorno e notte, è muto testimone di tanta trasandatezza.

La piazza potrebbe sembrare una prigione, tante sono le tristi sbarre che la chiudono: prigionieri sono gli alunni della scuola, prigionieri sono i libri della biblioteca, prigionieri sono i fedeli della chiesa. Recente pilastro di legalità e di speranza è il camper che staziona la notte in soccorso dei ragazzi che cercano aiuto…è la piccola luce, segno, nel fallimento di una società che mangia i suoi figli.

Leggende metropolitane

Passando spesso di qua ne ho sentite delle belle: una improvvisata guida spiegava, in un siculo-slang, che lo” stile è puro normanno- barocco”, un’altra raccontava che si erge sulla sinagoga, un terzo la diceva centro di occultismo, luogo di massoni-preti. Il guidatore del lapino2 che dava dieci minuti per visitarla era convincente nel ribadire che fosse la più bella del mondo e quando si entra nasce spontaneo un “wow”. Perfino il povero gufo del pilastro sinistro, simbolo di saggezza, perché è colui che veglia nella notte, invece di simbolo di saggezza è ormai un simbolo sinistro!

Ma avviciniamoci. La piazza omonima, pur nello stato attuale di degrado, conserva l’originale stato scenografico e si potrebbe chiamare “piazza” per i cittadini, ora solo parcheggio selvaggio. I nomi che la circondano sono Raffadali, Conservatorio, Ballarò, Santi Quaranta, Cassaro.

I Padri Professi a Palermo e la loro chiesa

I Gesuiti arrivarono nel 1541 sponsorizzati dal Vicerè Giovanni de Vega, li riteneva di valido aiuto per il vice-regno, sembra che le loro scuole fossero tra le migliori in Europa. Essi fondarono subito un collegio. Nel ’52 ottennero da Carlo V l’abbazia di S. Maria della Grotta. Questo è ancora il Titulus della chiesa e qui nel ’83 fondarono la Casa Professa. Cinque anni più tardi si allargarono e il Collegio fu trasferito sul Cassaro, rimasero fino al 1767 quando furono espulsi e i loro beni requisiti. Così S. Maria della Grotta si “convertì” di colpo in Biblioteca Nazionale, la Cappella all’entrata fu portineria, facile no?

La Fabbrica era a pochi metri fuori mura, su un leggero rialzo, c’erano grotte, pozzi, sorgenti, una miniera di ferro, rifugi. La leggenda narra che qui si rifugiò S. Calogero. Certo fu il ritrovamento di alcuni cimiteri cristiani, “Catacombe”. Alcuni monaci basiliani vi fondarono la loro “laura” intitolata a S. Filippo Argirò. Insomma sembra che ci fossero cinque chiese sul luogo assorbito dalla costruzione della chiesa dei Gesuiti (1564- 1578) da Giovanni Tristani, architetto gesuita.

Lo stile della chiesa era severo a tre navate, con cappelle laterali e transetto ampliato. Così rimase in sostanza fino al 1943, quando gli Alleati pensarono bene di bombardare il tutto, ma questa è un’altra storia.

Note

  1. atrio, vestibolo delle basiliche paleocristiane e di quelle romaniche più antiche (Garzanti Linguistica) ↩︎
  2. Moto Ape ↩︎

Bibliografia

Giuseppe Bellafiore, Palermo Guida della città e dei dintorni, Susanna Bellafiore Editore


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