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I racconti di p. Jack

Capitolo XVIII – San Cataldo dalle cupolette rosse

Vicende storiche

Cataldo era un monaco irlandese che, di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa, si fermò a Taranto e lì divenne probabilmente vescovo. Il Grand’Ammiraglio del Regno Majone era pugliese (detto infatti da Bari) e volentieri dedicava luoghi ed edifici alle sue devozioni. La chiesetta era la cappella di Palazzo che ora non c’è più, raso al suolo verso il 1790. L’unica parete originale che rimane è quella meridionale della cappella.

Circa 900 anni fa da questo alzato si vedeva il porto che arrivava alla Vucciria. Le domus dei due ammiragli costeggiavano le mura della città che col Kemonia separava dal quartiere ebraico. Facendo la livellazione della piazza sottostante si sono dissepolte le mura di fondazione della cinta romano-punica. 

Fondazione e ulteriori rifacimenti

La Chiesa di San Cataldo fu alzata, sembra, verso il 1160, e forse l’Ammiraglio era già morto, pugnalato da Matteo Bonello. Fu venduta dal re Guglielmo I, che sarebbe dovuto diventare suo genero, e pochi anni dopo divenne possedimento della Cattedrale di Monreale e usata come Gangìa per i monaci e residenza di città per l’abate. Dopo ulteriori passaggi e pesanti rifacimenti, secondo i criteri allora in voga, la collinetta fu livellata per allargare lo sbocco in via Maqueda.

Ora la cappella di Majone appare fuori luogo in un contesto del tutto diverso per cui era nata. Appare come una bella, armoniosa, severa e vecchia scatola rettangolare, famosissima, fotografatissima più per le sue cupolette rosse che per l’altro.

Esterni di San Cataldo

Chiesa di S. Cataldo. Sezione longitudinale.

Situata a pochi metri dalla Martorana, sul residuo sperone della collinetta, sostanzialmente ha la volumetria medievale originaria. La tecnica muraria lineare a piccoli conci è simile alla sua vicina, ha gli archi ogivali di stessa dimensione. È sollevata di 5 gradini rispetto all’esterno ed è tutta coronata da una elegante cimasa, molto restaurata. Sopra c’è un altro corpo rettangolare con finestrelle e sormontato da tre bulbi (i pittoreschi tre!). L’ultimo restauro del 1885 l’ha pesantemente modificata.

Prospetto orientale di S. Cataldo da cui fuoriesce l’abside centrale.

Vi sono tre absidi ma all’esterno ne appare solo il principale. Le pareti sono movimentate in superficie da arcate ogivali con finestre. Anche il corpo oblungo che la sovrasta è ornato da finestrelle, in cima a tutto ci sono i tre bulbi a sesto rialzato: sono tre cilindri sormontati da feritoie e formano tre calotte. Anticamente il tutto era rivestito da coccio-pesto e oggi da intonaco “violentemente rosso”, qualcuno pensa che fossero azzurri in origine! Il prospetto meridionale è abbastanza anonimo e si pensa che fosse il fianco con cui aderiva al Palazzo.

Il complesso è piuttosto severo, solo i tre bulbi creano un po’ di contraddizione, il movimento le è dato solo dai conci incassati alle pareti. L’unico elemento che la arricchisce è quel merletto murario dell’attico, formato da pietre in verticale. C’erano incise lettere in latino medievale in corsivo, con bell’effetto e dedicate a S. Cataldo e alla Vergine, ora indecifrabili forse per restauri mal fatti.

Gli interni

Per molto tempo la Cappella rimase chiusa al pubblico, a varie riprese furono fatti e rifatti restauri. La chiesa era a disposizione dell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. Lo spazio è diviso in tre navate, al centro ci sono 4 colonne più 2 per l’abside centrale. È anch’essa “orientata”, con tre ingressi: il principale a Ovest, gli altri a Nord e Sud. La navata centrale è illuminata dalle 8 finestrelle del tamburo centrale. Anche le cupolette hanno delle feritoie.

Il pavimento si è conservato quasi per intero, è mosaicato e ha dischi di porfido e serpentino, le colonne sembrano di spoglio e i capitelli sono probabilmente di fattura siculo-maghrebina del XII s. Se la cappella poteva sembrare poco luminosa, vi furono aperte ben 32 finestre e finestrelle. Non vi sono tracce di mosaici né di affreschi. Vi è un solo un epitaffio, è sulla parete meridionale, per Matilda (figlia del conte Silvestro di Marsico) morta nove mesi dopo la nascita nel 1161.

Innesti culturali nell’architettura di S. Cataldo

Quella di S Cataldo è un fenomeno isolato, un piccolo capolavoro architettonico che riecheggia altri orizzonti. L’ispirazione viene da territori lontani appartenuti alla Corona: Puglia e Ifrīqiya (nome arabo della Provincia Africa istituita dai Romani). In particolare le calotte nude rimandano alle maestranze maghrebine, venute a Palermo dopo la conquista dell’Africa da parte dell’Antiocheno. Per l’architettura si rifà alle chiese pugliesi dei feudi dei Majone.

Bibliografia

Rodo Santoro, Palermo La “Martorana” e San Cataldo, Arnone Editore Palermo
C. De Seta, M. A. Spadaro, S. Troisi, Palermo città d’arte Guida ai monumenti di Palermo e Monreale, Kalós


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